pranzo pasquale: usanza di mangiare salumi
I salumi a Pasqua, una tradizione secolare

Le origini antiche dell’uso dei salumi nelle feste pasquali

Anche quest’anno i festeggiamenti di Pasqua – nonostante le restrizioni legate al covid e l’impossibilità di riunirsi in molti per pranzi di famiglia – hanno portato sulle tavole degli italiani cibo in quantità, in moltissimi casi ordinato d’asporto e consumato a casa. Tra gli alimenti prediletti per il giorno di festa i salumi, che sono a pieno titolo parte integrante della tradizione culinaria pasquale del nostro Paese.

 

Perché si mangiano i salumi a Pasqua?

Secondo Assica (l’Associazione degli Industriali di carni e salumi) il consumo medio di salumi a Pasqua si aggira intorno alle 13mila tonnellate, per un valore complessivo di 30 milioni di euro: ciò significa che in media gli italiani mangiano 250 grammi di salumi e insaccati a testa nel periodo pasquale.

L’usanza di mangiare salumi a Pasqua è molto antica e risale addirittura all’epoca medievale, quando i salumi erano principalmente un alimento contadino e gli insaccati rappresentavano il metodo principale di conservazione della carne per lunghi periodi (scopri di più sulla storia dei salumi). Tradizionalmente la macellazione dei maiali avveniva in inverno, nel giorno di Santa Lucia (il 13 dicembre) e in quello di Sant’Antonio (un mese più tardi, il 14 gennaio): la lavorazione artigianale delle carni suine portava poi alla realizzazione di prodotti insaccati in budello naturale – soprattutto salami – che richiedevano un periodo di stagionatura diverso a seconda della tipologia di salume.

La festa di Pasqua cadeva nel momento ideale per consumare i primi prodotti con stagionatura breve, come per esempio i salami più giovani e le coppe di maiale, che a cavallo tra marzo e aprile erano pronti per essere mangiati.

 

Il consumo di salumi nelle feste pasquali

Alle ragioni più pratiche legate alla macellazione e trasformazione della carne si sommavano poi le tradizioni religiose, che sappiamo essere molto radicate nella cultura contadina italiana. La Pasqua rappresenta per i cattolici la festa più importante dell’anno liturgico ed è preceduta da un periodo di quaranta giorni dedicato al digiuno e alla penitenza, la Quaresima. Durante tutto questo tempo preparatorio nei secoli passati era usanza rinunciare al consumo di carne: col finire delle feste di carnevale si assaporavano le ultime pietanze come salsicce e salami per poi dire temporaneamente addio alle carni fino al giorno di Pasqua.

Oggi la scelta di non mangiare carne non è più legata a motivi religiosi – nonostante la Chiesa prescriva ancora il cosiddetto venerdì di magro durante tutto il periodo quaresimale – bensì a stili alimentari e convinzioni etiche (scopri qui i pro e i contro della dieta vegetariana e carnivora a confronto). Tuttavia l’usanza di celebrare il periodo pasquale consumando pietanze a base di carne si è tramandata fino ai giorni nostri, e i salumi sono largamente presenti nei pranzi e nei banchetti dei giorni precedenti e successivi alla Pasqua. A partire dalla Domenica delle Palme fino al pranzo pasquale e alla successiva Pasquetta (lunedì dell’Angelo) con la tradizionale gita fuori porta, in ogni angolo d’Italia si imbandiscono le tavole e le coperte dei picnic con moltissimi prodotti della salumeria e norcineria locale, serviti come antipasto o utilizzati come ingredienti di torte salate o altre succulente ricette tipiche pasquali: prosciutti crudi e cotti, salami stagionati e piccanti, coppe e capocolli, speck, mortadella e l’irresistibile leggerezza della Bresaola della Valtellina IGP, il salume perfetto per ogni occasione.

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