prima ricetta del prosciutto crudo
La prima ricetta del prosciutto della storia

La lavorazione delle carni di maiale nel De re rustica di Varrone

I primi salumi della storia risalgono secondo molti studiosi addirittura alla preistoria (come per esempio lo speck di Otzi), mentre per trovare le prime attestazioni scritte di salumi e carni conservate dobbiamo inevitabilmente attendere epoche più recenti e fare riferimento alla letteratura romana. Il primo scrittore a parlare di salumi fu Catone nel III secolo a.C., descrivendo cosce di suino conservate mediante salatura e asciugatura, ma la prima ricetta di un salume in assoluto è unanimemente considerata quella del prosciutto raccontata da Marco Terenzio Varrone nel suo De re rustica.

 

Il De re rustica di Marco Terenzio Varrone: un trattato su agricoltura e allevamento

Il De re rustica è un’opera in tre libri dedicati rispettivamente all’agricoltura, alla pastorizia e all’allevamento di altri animali. Scritta in prosa nel 37 a.C., ricalca la struttura dei trattati di agronomia dell’antica Roma e contiene consigli, informazioni e indicazioni di tipo agricolo, oltre che un elogio dell’agricoltura e la celebrazione dei suoi valori.

Al termine del capitolo II l’autore elenca alcune nozioni che ritiene essere al di fuori dal campo dell’agricoltura e che, pertanto, non si trovano scritte nel libro del “gran Catone” (ovvero il De agri cultura di Marco Porcio Catone): tra queste, “come salare il prosciutto”. E a questo tema Varrone dedica ampio spazio nel capitolo IV, che ha titolo emblematico “De sus”: Sul maiale.

L’autore disserta sull’allevamento dei maiali, affermando l’importanza della razza e dell’origine degli animali, sottolineando come amino sia l’acqua che il fango e soffermandosi anche sull’alimentazione: ghiande, fave, orzo e altri grani, tutti nutrimenti che – evidenzia – contribuiscono a ingrassare il maiale e a rendere saporita la sua carne. E prima di dedicarsi diffusamente alle pratiche di allevamento dei maiali e alle tecniche riproduttive, Varrone si sofferma brevemente proprio sull’usanza di mangiare e conservare le carni suine.

 

La ricetta del prosciutto nell’antica Roma secondo Varrone

Itaque iis animam datam esse proinde ac salem, quae servaret carnem.

E queis succidias Galli optimas et maximas facere consueverunt. Optimarum signum, quod etiam nunc quotannis e Gallia apportantur Romam pernae tomacinae, et taniacae, et petasiones.

De magnitudine Gallicarum succidiarum Cato scribit his verbis: in Italia in scrobes terna atque quaterna millia aulia succidia.

Traduzione:

Si pretende che la natura abbia regalato all’uomo il porco, onde vivesse lautamente, e che non abbia dato l’anima a quest’animale bensì solo quel sale che conservasse la sua carne.

I Galli accostumano di tagliare in grande copia della carne porcina, che poi salano ed affumicano, e ch’è molto buona. Una prova di tale bontà è che anche oggidì si trasportano tutti gli anni dalla Gallia a Roma mortadelle, salsicce (lucaniche) e prosciutti.

Intorno alla carne di maiale fatta in pezzi e poi salata, o affumicata, ecco quello che dice Catone: nell’Insubria si trovano fino a tre o quattromila pezzi di questa carne

 

Dunque, Varrone evidenzia l’usanza di conservare la carne di maiale mediante la produzione di prosciutti già ampiamente diffusa in tutta la Gallia Padana, citando anche numeri piuttosto consistenti, e descrive alcune fasi della lavorazione del prosciutto che ritroviamo ancora oggi: il taglio della carne, la salagione e l’affumicatura, pratica questa che avvicina l’antico prosciutto dei Romani all’odierno speck affumicato.

Inoltre, è molto interessante il passaggio iniziale in cui l’autore afferma che il maiale è stato donato all’uomo insieme all’unica cosa che serve per poterne godere appieno, ovvero il sale per la conservazione della carne. Già migliaia di anni fa, dunque, i nostri avi avevano individuato gli unici ingredienti fondamentali del prosciutto crudo: la carne e il sale.

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